“Non è importante l’attività, sono importanti le persone”

Rachid Boukhrissi, 47 anni, originario di Beni Mellal, in Marocco, è operatore sociale per CEFA nei progetti di Ritorno Volontario Assistito a Rabat. Attualmente lavora per supportare le persone che rientrano attraverso i progetti di ritorno volontario assistito, collaborando con Danimarca, Olanda e Francia e altri paesi Europei per assistere le persone che rientrano in Marocco dopo un periodo di migrazione all’estero.

Lo abbiamo incontrato durante il primo Focus Group del progetto We Propose e gli abbiamo fatto alcune domande per comprendere meglio i progetti su cui lavora. Di seguito l’intervista integrale.

Raccontaci un pò della tua storia

Lavoro da quasi più di 13 anni in Cefa. Io sono un ex migrante in Italia. Ho vissuto 7 anni in Italia e al mio ritorno ho lavorato nella Cooperazione Internazionale a livello locale, con la cooperazione spagnolo. Facevo parte di un’associazione locale in Marocco quando sono partito e una volta tornato ho ripreso i contatti. Da lì è nato il primo contatto con Cefa, che aveva aperto contatti con la mia associazione, che mi ha poi proposto un contratto.

Parlavo italiano e questo era utile.

Sono arrivato in Italia che avevo 28 anni, ho vissuto al nord, ho vissuto in provincia di Brescia. Sono tornato dopo il 2008, a seguito della grande crisi economica. L’azienda per cui lavoravo era in difficoltà e mi sono trovato senza lavoro. Alla fine non è andata bene, nonostante io abbia provato a trovare altre strade, ma non c’erano sanatorie in quel periodo e ho scelto di tornare. Diciamo che non avevo possibilità perché ero rimasto senza documenti.

Non avevo mai sentito parlare di ritorno volontario assistito e sono tornato da solo. All’inizio ho avuto un momento difficile e sono entrato in difficoltà psicologica, poi però ho scelto di non voler più tornare in Italia e di rialzarmi, da solo e ricominciare la mia vita qui.

Quando hai iniziato a lavorare nei progetti RVA?

Da 10 anni lavoro per questi progetti. Ormai sono un operatore senior per il Cefa e lavoro su tutti i tipi di ritorno.

Cosa pensi dei progetti di ritorno? E del tornare in generale?

Spesso le persone si trovano in una situazione difficile per cui il Ritorno Volontario Assistito è uno strumento utile, magari perché non hanno più i documenti e rischiano l'espulsione. Diverso invece chi decide di tornare di propria volontà: queste sono persone che hanno tutto e sono soddisfatti della propria vita in Europa, hanno fatto carriera e cercano di tornare.

Chi di solito accetta il Ritorno Volontario Assistito sono persone che hanno rischiato la vita per arrivare in Europa, ma a causa delle politiche migratorie, si trovano obbligati di ritornare.

Anche dentro Cefa abbiamo avuto una riflessione sul senso di continuare a lavorare su questo tipo di progetti. Io penso che noi qui in Marocco facciamo una parte importante: noi accogliamo chi ritorna. Senza il nostro supporto il loro rientro sarebbe più difficile.

Dove trovi il senso del tuo lavoro?

Mi piace poter offrire supporto, anche perché io ho vissuto questa storia. Io ho lo stesso linguaggio alle volte con alcune persone. Non è magia, ma ciò dipende dalla conoscenza di questo percorso di ritorno. Conosco la sofferenza, la voglia di ricominciare quando si torna nel proprio paese e l’intenzione di riprendere in mano il rischio della propria vita. Mi piace quando sono in relazione con le persone. Non mi piace fare lavoro d’ufficio. Ogni persona è una storia. Ogni storia è diversa. Sono migranti di ritorno, ma non sono tutti uguale. Sono molto felice quando riusciamo a risolvere le difficoltà che si incontrano durante il lavoro nei processi di ritorno.

Quando si torna c’è un momento in cui devi lasciare indietro il paese verso cui si è emigrato, l’Italia per esempio. Devi accettare che nella migrazione che hai fatto c’è un’esperienza e quando succede che la persona che torna vuole mettere a valore l’esperienza migratoria fatta. Ecco, questa cosa mi emoziona. Quel momento in cui la persona accetta la nuova condizione della sua vita.

Non è un fallimento, ma è un’esperienza quella della migrazione, anche nel ritorno.

Quali sono gli elementi importanti nel tuo lavoro per un’assistenza al ritorno che supporti davvero le persone?

La cosa fondamentale è il primo contatto che noi creiamo già nel momento in cui le persone sono ancora nel paese in Europa. Questo è un momento essenziale per chi vuole tornare, per rispondere alle loro domande, per prepararsi psicologicamente, prendere contatti con le loro famiglie d’origine. Bisogna pensare che alle volte le persone sono state lontane anni dal paese d’origine ed è quindi importante spiegare i cambiamenti che sono avvenuti.

In CEFA poi cerchiamo di avere complementarietà tra i diversi progetti per riuscire a sostenere sempre di più la persona, mixando i fondi.

Continuare ad avere relazioni con le persone che abbiamo incontrato è un altro elemento importante: io ho contatti e relazioni con tutte le persone che ho conosciuto nel mio lavoro, anche a distanza di anni. Diventiamo un punto di riferimento per loro ed è giusto essere presenti.

Quali sono i limiti dal tuo punto di vista dei progetti RVA attuali?

Il fatto di pensare che tutte le persone che tornano vogliono aprire un’impresa. Non tutte le persone hanno la mentalità imprenditoriale. Alle volte le persone che tornano hanno bisogno di altro, come aiuto medico, supporto psicologico, medicine.

Le persone migranti sono persone fragili: quando si scelgono le persone che lavorano nella migrazione bisogna saperle scegliere. Se una persona non è competente decide sulla vita di un’altra persona. Bisogna essere attenti nei processi di accompagnamento. E in più, non tutte le persone migranti sono imprenditori. Rispetto ai progetti è importante allargare le possibilità di sostegno che si possono offrire. Non è importante l’attività, sono importanti le persone.

In che modo pensi che bisognerebbe guardare alle migrazione?

Io penso che la libertà sia una parola importante. Bisognerebbe rendere più facile l’integrazione delle persone migranti, in Italia ad esempio. Offrire possibilità e rendere più leggere le normative sull’immigrazione. Nessuno sceglie di andare via da casa sua: ci sono dei fattori push che spingono le persone a lasciare il proprio paese.